Credere senza vedere e toccare
Domenica in albis deponendis e Domenica della Divina Misericordia. La prima denominazione fa riferimento alle vesti bianche deposte dai battezzati nella veglia pasquale; la seconda designa la festa istituita da San Giovanni Paolo II dopo le apparizioni di Gesù a suor Faustina Kowalska. Il Vangelo di questa domenica (Gv 20,19-31) inizia raccontando ancora gli avvenimenti del giorno di Pasqua. “La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo, e disse loro: Pace a voi! Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore” (vv 19-20). È il giorno della risurrezione. I discepoli sono ancora smarriti e disorientati. Non hanno visto il Signore risorto, non credono che possa essere tornato in vita. Pieni di paura sono rinchiusi nel Cenacolo ed è proprio lì, che la sera, improvvisamente, Gesù li sorprende: appare loro donando la pace. Il primo dono del Risorto ai discepoli è la pace, la sua pace, quella che nasce dal suo sangue versato e ha riconciliato l’umanità con il Padre. E per rassicurarli che è Lui mostra i segni della sua passione aiutandoli a comprendere che ciò che vedono è veramente il Signore morto e risorto. Che grande gioia! Lo pensavano morto ed ora lo vedono vivo in mezzo a loro. La gioia pasquale che niente e nessuno può togliere, e che è anche per noi, sa rileggere le ferite e le sofferenze di prima non come segni di fallimento e di sconfitta ma di amore per tutti e di vittoria sulla morte e sul male. “Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me anche io mando voi” (v 21). Il Risorto rinnova il dono della pace e invia i discepoli perché la sua opera di redenzione continui sulla terra: dal Padre al Figlio e dal Figlio alla Chiesa. Poi dona lo Spirito Santo per una missione ben precisa: “Detto questo, soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (vv 22-23). L’evangelista utilizza il verbo “soffiò” come nel racconto della creazione dell’uomo (cfr Gen 2,7). Come nella creazione Dio alitò nell’uomo uno spirito vitale ora Gesù alita lo Spirito Santo nei discepoli a cui conferisce il potere di rimettere i peccati. Il perdono dei peccati è segno della misericordia di Dio che ci ama e trasforma la nostra vita in vita nuova. E questo continua oggi nella Chiesa, per i cristiani, mediante il sacerdozio ministeriale. Alla prima apparizione del Risorto è assente Tommaso “uno dei Dodici, chiamato Didimo…Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo” (vv 24-25). Tommaso non si fida della testimonianza dei discepoli. Vuole verificare di persona vedendo e toccando le piaghe di Gesù a conferma che quel crocifisso è risorto. “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo ma credente!” (vv 26-27). Ora Gesù è davanti a Tommaso e lo invita non solo a fare quanto voleva ma anche a credere. Gesù ci insegna che per credere in Lui non è necessario vedere e toccare con mano ma basta la testimonianza autorevole di coloro che lo hanno visto. E Tommaso si arrende. Ha scoperto di essere accolto, amato nonostante la sua incredulità e fragilità e perdonato. E allora scatta la bellissima professione di fede “Mio Signore e mio Dio” (v 28) che possiamo fare nostra quando facciamo esperienza dell’amore, del perdono e della misericordia di Dio. E Gesù conclude “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (v 29). Quei beati siamo noi e tutti coloro che credono nell’annuncio dei discepoli, testimoni di Gesù morto e risorto.