Pentirsi e compiere la volontà del Padre
L’evangelista Matteo in questa domenica ci presenta Gesù che in modo diretto si rivolge ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo che, sentendosi minacciati dall’insegnamento e dai miracoli del Signore, cercavano di arrestarlo e toglierlo di mezzo. Ad essi racconta la breve parabola dei due figli ai quali il padre chiede di andare a lavorare nella vigna (Mt 21,28-32). Il primo rispose “Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò” (v 29); l’altro invece rispose “Sì, signore. Ma non vi andò” (v 30). Entrambi i figli fanno delle affermazioni che sono smentite poi dal loro comportamento: il primo vuol essere libero, non sottomesso al padre, indipendente ma poi si pente, si ricrede, cambia la propria decisione iniziale e va nella vigna a lavorare; il secondo invece si mostra compiacente, accondiscendente e più generoso ma incoerente infatti viene meno alla sua parola e non va nella vigna. Uno è ribelle, pentito ma obbediente, l’altro è ossequiente e deferente ma disobbediente. E Gesù interpella i suoi interlocutori perchè esprimano la loro opinione: “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?” (v 31). Giustamente rispondono “Il primo” (v 31). Soffermiamoci a riflettere: il primo figlio inizialmente si oppone alla volontà del padre ma poi si pente. E da lì cambia tutto, cambia il proprio modo di vedere e il proprio cuore e fa quanto il padre gli ha chiesto. E noi? Pensiamo alla nostra vita: abbiamo anche noi fatto l’esperienza del pentimento che poi ci ha permesso di accogliere la volontà di Dio oppure i nostri “sì” spesso diventano quei “no” che ci rendono disobbedienti alla volontà del Padre? Noi possiamo essere come l’uno e l’altro figlio! Siamo persone che si pentono e fanno o ipocriti che dicono e non fanno? Pentirsi, cambiare rotta è possibile per tutti e deve accompagnare tutta la nostra vita. Conclusa la parabola Gesù ne fa un’applicazione: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto” (vv 31-32). Il figlio che dice di “no” e poi si pente e va a lavorare nella vigna è identificabile con i pubblicani e le prostitute, mentre il figlio che dice di “sì” ma poi non va a lavorare nella vigna rappresenta i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo. I due gruppi si differenziano per il diverso atteggiamento nei confronti del messaggio di Giovanni Battista: pubblicani e prostitute, considerati pubblici peccatori la cui conversione era ritenuta pressoché impossibile, hanno accolto l’invito alla penitenza annunciato da Giovanni; non così le autorità religiose. Quelli si pentono e credono, questi no. Ed è proprio per questo che Gesù evidenzia che pubblicani e prostitute sono nella condizione di entrare nel Regno al posto delle autorità religiose che, per il loro atteggiamento chiuso e arrogante, ne sono escluse. E Gesù sottolinea “Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli” (v 32). Il pentimento diventa la condizione indispensabile per credere, il presupposto necessario della fede: non c’è fede là dove manca pentimento. Questo dovrebbe bastare per evitare una lettura superficiale del brano evangelico e giungere alla sbrigativa conclusione che i peccatori in quanto peccatori hanno la precedenza sui giusti. Qui si parla di peccatori che si sono pentiti e hanno creduto. Se mancano queste condizioni, pentimento e fede, qualsiasi peccatore rimane tale e non ha nessuna precedenza. Coloro che a parole si professano credenti e osservanti cerchino di comportarsi in modo tale che al “dire” segua sempre il “fare”, pronti a pentirsi e a cambiare quando c’è uno scarto tra le parole e le azioni. Il sincero pentimento e la viva fede, la coerenza tra parole e comportamenti non sono mai conclusi o limitati ma dovrebbero accompagnare in modo permanente la nostra vita cristiana nel compiere la volontà del Padre.