Credere e riconoscere Gesù il Santo di Dio
L’odierna pagina evangelica (Gv 6,60-69) presenta la reazione dei discepoli al discorso di Gesù come pane vivo disceso dal cielo che deve essere mangiato per avere la vita eterna. “Molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (v 60). Se in precedenza erano la folla e i Giudei a mormorare contro il Signore ora a criticarlo sono proprio quelli che l’hanno seguito più da vicino e giudicano il suo discorso rigido e inascoltabile. La pretesa di Gesù di essere pane della vita senza fine e di salvare l’uomo mediante il dono di sé sulla croce risulta ai discepoli assurdo e inaccettabile. E non stupiamoci! Questo atteggiamento può essere anche il nostro quando, in particolari situazioni di vita, diventa più difficile credere alla parola di Gesù e accoglierlo nell’Eucaristia. “Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?” (vv 61-62). Il Signore sa cosa c’è dentro il cuore dei discepoli, conosce le loro mormorazioni e li provoca in modo forte e diretto mettendoli di fronte alla loro mancanza di fede sia sulla sua parola, sia sugli avvenimenti che lo riguardano. Infatti, nei due interrogativi che pone, fa comprendere che la loro incredulità riguarda nono solo il suo essere pane di vita e carne da mangiare ma anche qualcosa di più grande come la visione del suo ritorno al Padre dal quale è venuto. E Gesù, senza attendere la risposta dei discepoli, prosegue: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita” (v 63). Secondo la tradizione biblica la “carne” indica la fragilità e precarietà della condizione umana. Gesù qui non intende disprezzare questa condizione che Lui stesso ha assunto facendosi uomo ma vuole insegnarci che solo lo “Spirito” è capace di dare la vita e le sue parole essendo “spirito e vita” portano l’’uomo nella dimensione di Dio donandogli una vita piena e definitiva. “Ma tra voi vi sono alcuni che non credono. Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me se non gli è concesso dal Padre” (vv 64-65). Il Signore conosce il cuore e i pensieri dell’uomo. Davanti a Lui non possiamo mettere maschere o pensare di farla franca. Dio Padre concede a tutti di andare verso il Figlio ma spetta all’uomo accoglierlo con fede o non accoglierlo, spetta all’uomo essergli fedele o tradirlo. Qui si gioca tutta la nostra libertà di scelta e la nostra responsabilità. “Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui” (v 66). Dalla mancanza di fede in Gesù si arriva all’abbandono della sequela. È quanto avverrà più tardi nel momento della passione e della croce ed è quanto può avvenire per noi oggi. Una fede debole in Gesù che porta ad allontanarsi da Lui, a tornare indietro seguendo la propria logica umana. “Disse allora Gesù ai Dodici: volete andarvene anche voi?” (v 67). La cerchia si restringe: dai discepoli ai Dodici ai quali Gesù chiede di fare una scelta. “Rispose Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (vv 68-69). Pietro raccoglie la sfida. Malgrado i dubbi e la crisi provocati dalle parole e dai gesti del Maestro, a nome degli Apostoli, dichiara la sua fede in Gesù. Una fede che nasce non da cose imparate ma dall’esperienza, dall’aver ascoltato le sue parole e dall’essere stati con Lui fino a riconoscerlo come l’inviato da Dio, il Messia. La fede è un dono da chiedere e custodire, da rinnovare e testimoniare. Anche a noi oggi Gesù pone la stessa domanda e come Pietro facciamo la nostra professione di fede. Nell’ascolto delle parole di Gesù e nutriti del pane vivo che è il suo corpo non esitiamo ad andare da Lui, a credere in Lui e facendo esperienza di Lui a riconoscerlo come nostro Salvatore.