Immersi nel mistero trinitario
Solennità della Santissima Trinità. Un solo Dio in tre persone uguali e distinte Padre, Figlio e Spirito Santo, amore inesauribile e comunione perfetta che si dona, mistero a cui noi siamo chiamati a partecipare. Per entrare in questo grande mistero della vita trinitaria, la Liturgia di oggi ci fa ascoltare l’unico testo evangelico che presenta insieme le tre persone divine “Padre, Figlio e Spirito Santo” (Mt 28,16-20). “In quel tempo, gli undici andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato” (v 16). In precedenza il Risorto era apparso a Maria di Magdala e all’altra Maria e le aveva incaricate di dire agli apostoli di recarsi in Galilea (cfr Mt 27,10). Il ritorno in Galilea è importante. In questa terra tutto aveva avuto inizio: Gesù aveva cominciato a insegnare e fare miracoli, e lì aveva inaugurato la sua missione per Israele. E non a caso Gesù risorto invita gli apostoli ad andare proprio lì perché da lì tutto riparta. Gli undici giunti in Galilea vanno su di un monte che, come per la Trasfigurazione, è il luogo della rivelazione. “Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono” (v 17). Il vedere Gesù risorto fa scattare un gesto di adorazione accompagnato però dal dubbio della fede. Come è facile riconoscere anche noi stessi in questo atteggiamento degli apostoli e quante volte questa è anche la nostra esperienza! Ma il Risorto non teme una fede che vacilla, il dubbio che si insinua e prende l’iniziativa: “Gesù si avvicinò e disse loro: a me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (v 18). Il verbo avvicinarsi ha una forte valenza teologica per l’evangelista Matteo: in Gesù che si avvicina è Dio che si rende presente e si affianca all’uomo in qualsiasi situazione possa trovarsi. Dopo essersi avvicinato Gesù presenta agli apostoli la sua identità e la loro missione. Afferma, infatti, con una dichiarazione solenne, la sua signoria e il suo potere: Lui è il Signore, Lui è Dio e ha il potere che Dio Padre gli ha dato, un potere universale tant’è che si estende dal cielo alla terra. E poi la missione: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (vv 19-20). Gli apostoli sono inviati non a fare proselitismo ma a “fare discepoli tutti i popoli” cioè portare, non più solo il popolo d’Israele, ma tutte le genti, tutta l’umanità ad entrare in una relazione stretta e intima con la persona di Gesù e porsi alla sua sequela. Il mandato missionario di “fare discepoli” implica il battesimo e l’insegnamento. Battezzare significa propriamente “immergere”, nel “nome di” significa “con l’autorità di una persona presente e operante a tutti gli effetti e in comunione con essa”. Pertanto “battezzare nel nome di” vuol dire immergere colui che viene battezzato nella presenza, nella relazione e nel dialogo d’amore della Trinità, essere immersi in una vita nuova, la vita dei figli di Dio. E insegnare non è semplicemente presentare delle nozioni di fede o verità dottrinali. Gesù chiede di più. Chiede di insegnare a mettere in pratica quanto ha comandato. E cosa ha comandato? Di amare e di amarci gli uni gli altri. Allora chiediamoci se siamo veri discepoli di Cristo, se siamo cristiani che si impegnano a vivere nell’amore secondo quanto Gesù ha comandato. E poi il Signore fa una promessa agli apostoli che possiamo sentire rivolta anche a noi, una promessa che vale come garanzia di incoraggiamento e di fiducia: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v 20). Gli apostoli nella loro missione sono accompagnati della presenza di Gesù così ognuno di noi. Una presenza che è quella del “Dio con noi”, una presenza costante che spesso non sappiamo vedere o di cui neppure ci accorgiamo eppure c’è ed è lì a sostenere con il suo amore le nostre giornate, la nostra vita e il nostro impegno. E questa presenza è così duratura al punto di arrivare fino alla fine del mondo. Nessuna paura quindi: Gesù è sempre con noi!