Giudicati sull’amore
Oggi celebriamo la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo e concludiamo l’anno liturgico nel quale ci ha accompagnato il Vangelo di Matteo. Meditiamo la splendida pagina del giudizio finale (Mt 25,31-46). “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, si siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra” (vv 31-33). Nel giudizio la separazione avviene in base ad un preciso operare: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare/ non mi avete dato da mangiare” (vv 35.42). Nel giudaismo, anche al tempo di Gesù, era già presente l’idea del giudizio espresso sulla base dell’aver fatto o non fatto qualcosa a qualcuno. C’è qui però una novità: la carità fatta o non fatta al fratello bisognoso è fatta o non fatta a Gesù: “mi avete/ non mi avete dato da mangiare”. Ed è sorprendente che questo avvenga in modo inconsapevole “Quando Signore ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare?” (v 37). Gesù risponde “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (v 40). Il Signore stabilisce, dunque, uno stretto legame tra sé e i “fratelli più piccoli”: in essi si identifica e in loro noi lo possiamo incontrare, servire e amare. Nel testo evangelico vengono elencate una serie di opere verso il prossimo che non riguardano riti o pratiche religiose ma gesti umani di misericordia e di carità: dare da mangiare e da bere, vestire, accogliere e visitare; elenco che sicuramente si può estendere a tutte le persone deboli e indifese, poveri e malati, miseri e bisognosi in ogni senso. Notiamo che Gesù non ci chiede di fare cose impossibili ma a misura delle nostre forze: dice infatti “Ero malato e mi avete visitato” (v 36) e non necessariamente “guarito” perché in molti casi la guarigione supera le nostre possibilità. Per fare gesti di carità e misericordia non sono necessari studi e ricchezze! Tutti possiamo aiutare e amare, servire e condividere. Occorre avere un cuore aperto per chiunque incontriamo sul nostro cammino, un occhio che sa vedere chi è in condizioni di disagio e soccorrerlo. Una parola di conforto, un sorriso o un abbraccio verso chi è triste, un ascolto attento e paziente, un aiuto spirituale, un donare con gratuità è alla portata di tutti. E qualora non fossimo più in grado di operare ricordiamo che possiamo sempre pregare per gli altri. Ci è chiesta una carità quotidiana e perseverante, un grande impegno i cui effetti possono solo far bene a questo mondo afflitto da tante guerre e violenze, da tante cattiverie e chiusure! Solo chi ha soccorso il fratello in difficoltà, ha soccorso Gesù stesso ed entrerà nel suo regno. La misericordia e la carità messe in pratica sono già nel presente speranza della vita futura preparata da secoli “Ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (v 34). Dura invece la condanna per chi non ha soccorso il fratello nel bisogno e dunque non ha soccorso Gesù stesso “Via lontano da me … al supplizio eterno” (vv 41.46). Riflettiamo bene! Gesù non ci tiene all’oscuro sul giudizio finale, anzi ci svela con chiarezza che al termine della nostra vita saremo giudicati sull’amore. Non c’è spazio, dunque, per l’indifferenza e l’egoismo, il trattenere per sé o pensare solo a sé stessi. Il Signore che ci giudicherà è presentato come re, pastore e figlio dell’uomo. Si tratta di un sovrano che ci esorta ad amare concretamente, di un pastore che ci insegna a prenderci cura degli altri, del figlio dell’uomo che ci invita ad assumere la sua stessa logica di condivisione e di servizio. Teniamo ben presente che in tutto questo ciò che conta è l’amore e, alla fine, resterà solo l’amore che avremo saputo donare. Non temiamo dunque il giudizio finale! Se ci saremo spesi nella carità e misericordia verso i fratelli, con amore, senza porre limiti, sarà gioia piena per sempre.