Talenti da mettere a frutto per una gioia più grande
Il vangelo della XXXIII domenica del tempo ordinario ci presenta la parabola dei talenti (Mt 25,13-40). La tematica è ancora quella della vigilanza e dell’attesa del ritorno del Signore. “Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì” (vv 14-15). Il padrone ha grande fiducia nei confronti dei servi tanto da affidare loro, in misura diversa e secondo le capacità di ciascuno, i suoi beni. Così Dio fa con noi! Due servi investono il capitale ricevuto e lo raddoppiano (cfr vv 16-17); il terzo, invece, lo mette al sicuro nascondendolo sottoterra (cfr v 18); due si mettono all’opera, si danno da fare per duplicare i beni ricevuti mentre uno si limita a scavare e nascondere. Due modi di agire diametralmente opposti. Riflettiamo e pensiamo a quali servi noi possiamo assomigliare e come trattiamo i beni che Dio ci ha donato. “Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro” (v 19). A partire da questo momento si apre un dialogo tra padrone e servi. I primi due vengono lodati, con parole identiche, per il loro impegno: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto: prendi parte alla gioia del tuo padrone” (vv 21.23). I beni affidati ai servi erano ingenti ma il padrone li definisce “poco” ed è proprio sulla fedeltà a questo poco che egli si dimostra ancora più generoso, concede molto di più: partecipare della sua gioia. È dunque decisivo ciò che si fa con i doni ricevuti dal Signore nell’attesa del suo ritorno! “Si presentò infine colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo” (vv 24-25). Il terzo servo presenta un’immagine del padrone alquanto pesante tanto da suscitare in lui un grande terrore. Proprio sulla base della durezza e severità del padrone e stretto nella morsa della paura motiva il suo comportamento. Quel servo non si è impegnato, non ha prodotto nulla, si è limitato a restituire al padrone il suo talento. E il padrone lo definisce “malvagio e pigro” (v 26) in quanto non si è preoccupato di investire il talento affidatogli perché portasse frutto. E replica al servo che avrebbe almeno dovuto affidare il talento ai banchieri in modo da ritirarlo con l’interesse (cfr vv 26-27). È sconcertante: il padrone fa togliere al servo il talento che aveva ricevuto per darlo a chi ne ha di più (cfr v 28) affermando “a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; me a chi non ha verrà tolto anche quello che ha (v 29). E sentenzia per quel servo, definito inutile, “gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti” (v 30). Che Dio è mai questo che ricompensa chi ha investito in modo redditizio e punisce chi si è limitato a conservare? È un Dio che ama e ci chiede di non essere inattivi ma di prenderci cura dei suoi doni con coraggio e amore, di gestirli e amministrarli per qualcosa di più grande. La parabola ci insegna che il Signore tornerà. Possiamo vivere nella fedeltà al Signore ogni giorno impegnandoci, in modo generoso e responsabile, a far fruttificare per Lui e per il bene dei fratelli i talenti che ci ha dati o limitarci a restituire il ricevuto. Il Signore si fida di noi, ci ama, ci lascia liberi di agire come riteniamo, di fare le scelte che vogliamo: metterci o non metterci all’opera nell’investire ciò che ci ha donato. Impariamo ad avere cuore e occhi capaci di scoprire i nostri talenti, di metterli a frutto nella vigilanza e nell’attesa del suo ritorno. Allora ci sentiremo chiamati servi buoni e fedeli e ci farà entrare nella gioia del suo Regno. Non dimentichiamo che oggi è la giornata mondiale dei poveri: consapevoli dei doni ricevuti dal Signore, sentiamoci chiamati a impegnarci a loro sostegno e aiuto e a servirli con amore.