Apparteniamo a Dio, siamo a Sua immagine
Il vangelo odierno (Mt 22,15-21) si apre ancora con la presenza dei farisei che “tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù” (v 15). Sono così determinati nel loro intento da allearsi perfino con gli erodiani che detestavano fortemente per motivi religiosi. Farisei ed erodiani, dunque, si presentano a Gesù con parole elogiative e lusinghiere per poi tendergli una trappola “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità…” (v 16). Questo modo subdolo di esprimersi ed approcciarsi a Gesù riportato dall’evangelista è quanto mai attuale. Lo possiamo ritrovare nelle discussioni comuni, sui social, nelle trasmissioni televisive e può capitare anche a ognuno di noi quando ci si chiude al dialogo, ci si lascia prendere dalla volontà di rivalsa e di averla vinta sull’avversario a ogni costo. E pongono a Gesù la domanda tranello che riguarda la tassa da pagare all’Imperatore di Roma: “è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?” (v. 17). Una domanda molto insidiosa perché in qualsiasi modo Gesù avesse risposto lo si poteva accusare. Infatti se avesse detto che è lecito pagare il tributo, sarebbe stato accusato di collaborazionismo con gli occupanti romani; se avesse risposto che non si doveva pagare la tassa, sarebbero stati i romani a considerarlo un pericoloso rivoluzionario. Gesù, conoscendo la loro malizia e falsità, sapendo che erano mossi da ragioni pretestuose e non interessati alla verità, li smaschera affermando “Ipocriti, perchè volete mettermi alla prova?” (v 18). E spiazza i suoi interlocutori non rispondendo direttamente alla domanda ma chiedendo di mostrargli la moneta del tributo (v 19). Poi li interroga “Questa immagine e l’iscrizione di chi sono?” (v 20). Costoro rispondono ovviamente che l’immagine e l’iscrizione sono di Cesare, allora Gesù pronuncia la famosa frase: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (v 21). Frase lapidaria che supera la risposta dei farisei mettendo in campo non solo la dimensione economico-politica ma anche quella religiosa. Questa risposta del Signore a volte viene usata quando ci sono ostilità e tensioni per distinguere ciò che è dovuto a Dio da ciò che è dovuto allo Stato. In verità essa va compresa in profondità e interpretata alla luce della situazione concreta di Gesù stesso. Non è perciò applicabile semplicemente dal punto di vista economico-politico a proprio vantaggio o in modo letterale all’oggi. I farisei riconoscevano di fatto l’autorità di Cesare, già si dava all’Imperatore ciò che era suo, poiché si usavano le sue monete per pagare le tasse. Di conseguenza, quella loro domanda risulta superflua e inutile ed evidenzia ancor di più la loro malizia in quanto chiedono una cosa la cui risposta è già confermata dalla prassi. Gesù con la sua affermazione non misconosce Cesare ma va oltre evidenziando come i farisei, che si ritenevano conoscitori della Legge e di Dio, vedevano solo l’immagine impressa sulla moneta dimenticando un’altra immagine, impressa nell’uomo: quella di Dio (cfr Gen 1,27). Per Gesù, allora, occorre sì pagare i tributi ma è indispensabile anche “rendere a Dio quello che è di Dio” vale a dire riconoscere in noi questa immagine che ci fa essere veramente noi stessi. Non si tratta di “pagare” Dio ma di riconoscere a chi apparteniamo e a chi restituire noi stessi, la nostra vita, con quanto abbiamo nel cuore e nella mente. Siamo di Dio, apparteniamo a Lui e non ci sono mani migliori e amore più grande che ci aiutino ad essere il suo capolavoro così da diventare sempre più a sua immagine. Qui si apre lo spazio per il nostro impegno. Pensiamo ad esempio a cosa e a quanto rendiamo a Dio in termini di amore, di preghiera, di servizio e di tempo. Oggi si celebra anche la Giornata Missionaria Mondiale. Preghiamo per i missionari e le missionarie e con loro cerchiamo di vivere secondo la nostra vera identità: “essere a Sua immagine!”. E a Lui che ci ha donato questa grande dignità rendiamo tutta la nostra vita e tutto noi stessi.