Appassionati della vigna per portare frutti
In questa XXVII domenica del tempo ordinario viene proposta ancora una parabola con l’immagine della vigna (Mt 21, 33-43) che rimanda alla storia di Dio con il popolo d’Israele. Gesù si rivolge di nuovo ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. “C’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano” (v 33). La figura del proprietario rimanda subito a Dio, la vigna a Israele, i contadini alle guide autorevoli del popolo. È stupendo conoscere come Dio si prende cura del suo popolo, lo circonda di amore e di tenerezza, provvede con premura a ciò di cui ha bisogno, lo arricchisce dei suoi doni e lo custodisce e difende. Che bello! Dio fa così anche con ognuno di noi. Poi il padrone affida ai contadini, alle autorità d’Israele, la vigna perché la lavorino in sua assenza e giunta l’ora della vendemmia manda alcuni suoi servi per ritirare il raccolto. Tra i contadini, però, è sorta la tentazione di impadronirsi della vigna, una tentazione sempre ricorrente alquanto attuale. Pensare la vigna come proprietà personale, sostituirsi al legittimo proprietario, spadroneggiare anziché prendersene cura, non avere a cuore il suo bene porta quei contadini a un rifiuto violento dei servi cioè dei profeti inviati, più volte, da Dio. Alcuni vengono “bastonati”, altri “uccisi” e altri “lapidati” (cfr 35). Il Signore però non si arrende, è paziente e invia altri servi, altri profeti, in numero maggiore. Ma anche questi vengono trattati come i primi. Colpisce questo fare di Dio che invia altri servi a fronte del rifiuto e rigetto dei contadini. E il padrone ci sorprende con un ultimo tentativo: invia suo figlio, che ha più autorità dei servi. La sua speranza profonda è che, vedendo il figlio, i vignaioli abbiano un comportamento diverso e consegnino il raccolto. Padrone ingenuo? No! da parte sua, c’è la volontà, mediante il figlio, di concedere loro la migliore opportunità per un radicale cambio di atteggiamento. Cosa avviene invece? Quei vignaioli, “al vedere il figlio”, aumentano ancora di più il desiderio di essere padroni, perciò dicono tra sé: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità! (v 38). È amaro prendere atto del male che si compie pur di possedere. Grande responsabilità e esame di coscienza c’è qui da fare per chi ha più autorità! Ravvedersi è sempre possibile accogliendo Gesù, il figlio amato dal Padre, che ti permette di ripartire nel servizio con gioia e amore. Gesù racconta questa parabola alla vigilia della sua passione proprio per quelli che la metteranno in pratica contro di lui, fino a rigettarlo fuori dalla città e a crocifiggerlo. L’evangelista Matteo mostra che Gesù ha coscienza di essere il Figlio inviato dal Padre nella vigna d’Israele e nell’oggi della storia, sa ciò che lo attende al termine della sua missione in questo mondo e non si sottrae a questa volontà per amore verso la sua vigna che non ha misura e limiti. Poi Gesù interpella i suoi interlocutori chiedendo cosa farà il padrone al suo ritorno. Questi rispondono che la sorte dei contadini sarà la morte e “darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo” (v 41). E Gesù citando il salmo 118 evidenzia che lui è la pietra che i costruttori, le autorità d’Israele, hanno scartato ma che Dio ha scelto e posto come pietra angolare. Pertanto sentenzia “vi sarà tolto il regno di Dio e sarà donato a un popolo che ne produca i frutti” (v 33). Questa parabola è forte e dura e risuona pesantemente non però sul popolo d’Israele ma suoi capi che lo hanno rigettato e condannato. Ed è come un avvertimento non solo per l’autorità di quel tempo ma anche per noi! L’autorità e non solo, i doni che ci sono stati dati, tutte le doti che Dio ci ha elargito sono per poter amare e servire la vigna del Signore, vale a dire i nostri fratelli. È questa la via che lui ci propone per diventare i suoi buoni contadini per un buon raccolto.